The Order – 1886 è l’esclusiva Playstation 4 che avrebbe dovuto convincere gli indecisi ancora fermi alla terza console Sony a fare il grande passo. Una meraviglia grafica costata almeno 4 anni di sviluppo e tanti, tantissimi dollari. Ne è valsa la pena? La risposta al quesito è un semplice, candido, “NO” per tantissime ragioni e la lunghezza del gioco non c’entra. Quello è una dei (pochi) punti a favore di questo videogioco molto “video” e troppo poco “gioco”.
I MATTONCINI ROSSI & NICOLAS CAGE
Graficamente distinguiamo due aspetti: Character Design e Ambienti. La ricostruzione della Londra vittoriana è senz’altro notevole. Di una bellezza perfino superflua. I mattoncini rossi che mappano le case sono perfettamente riconoscibili l’uno dall’altro. I personaggi invece, francamente non ci hanno particolarmente colpito, il protagonista in particolare. Sir Galahad con quei baffoni da sparviero e gli occhi sbarrati e soprattutto alcune espressioni WTF alla Nicolas Cage è il peggior personaggio del gioco ( e il doppiaggio italiano che carica ogni frase anche la più’ banale con esiti a volte ridicoli, non lo aiuta di certo). Il resto del cast ricade tranquillamente nell’anonimato.
LA GIOCABILIT……..EEEHHHHH??!!
Sorvolando tranquillamente sull’anonima colonna sonora del gioco, il solito “wall of sound” che non c’entra con Phil Spector ma è solo l’ammassare strumenti per coprire il nulla cosmico, arriviamo a quell’aspetto di un videogame, tanto bistrattato al giorno d’oggi, la giocabilità. The Order ricade, almeno sulla carta, in quella categoria di videogames definiti come TPS, ovvero third person shooter. La realizzazione delle fasi di battaglia, fucile o pistola alla mano sono realizzate abbastanza bene, niente che ci faccia cadere la mascella, ma nel complesso funzionano, con delle buone meccaniche “spara – nasconditi – spara”.
Ci sono un paio di fasi stealth, che hanno qualche problema tecnico (se non ci si allinea perfettamente alle spalle del malcapitato che si vuole aggredire, non scatta il pulsante che attiva l’aggressione e si viene scoperti anche se si è fuori dal raggio visivo di chi si vuole sorprendere) nel complesso ce la facciamo piacere. Quello che proprio no, non ci è piaciuto, e che fà cadere tutto l’ingombrante castello di carte, anzi di mattoncini rossi, di Ready at Dawn è la scarsa attenzione al gameplay, al fattore ludico, che un videogioco deve avere e di cui non può fare a meno. Se non altro per rispetto.
Ecco siamo arrivati al punto di questa recensione: la mancanza di rispetto verso il giocatore. Che viene costretto a guardare interminabili sequenze che vanno da sole, a sorbirsi insulsi spiegoni, ad armeggiare con grimaldelli per aprire delle dannatissime porte con una meccanica da Wii Party, messo ad affrontare delle “boss battle” in cui come negli esperimenti sugli scimpanzé, basta schiacciare qualche freccia in su’ e in giù per risolverle. Ci sono interi capitoli in cui non si fà veramente nulla. Si assiste, al massimo si muove un po’ il personaggio avanti e indietro e poi stop, fine del capitolo, filmato seguente.
CAMELOT 1886
Ci sono tante scelte stilistiche discutibili in 1886. Quella dei personaggi vittoriani, della Londra dell’800 che se ne vanno in giro comunicando con l’auricolare, con due dita all’orecchio, parlando come i marines, è solo una delle più kitsch.
Qualcuno magari vi dira’ che il punto forte del gioco è la storia. Non credetegli. L’idea dei protagonisti della Tavola Rotonda trasposti nel presente, nel futuro o in un passato recente è veramente difficile farla passare come originale visto che è stata già vista in decine di film (ce n’è uno, simpatico, al cinema in questo momento), di fumetti (vi consigliamo il classico degli anni ’80, Camelot 3000) romanzi e addirittura anime giapponesi. La storia in sé, è il solito concentrato di cliché “di genere” da cestone, vista, letta, giocata centinaia di volte: L’ordine dei cavalieri che combattono senza macchia e senza paura, fino a che si scopre che c’è del marcio oltre che in Danimarca anche sotto la Tavola Rotonda. Il paladino diventa il traditore incompreso, che poi si redime. Il vero cattivo era uno di loro. “..Yawn.”(sbadiglio)
A fronte di quanto sopra scritto capirete come il fattore “durata breve” del gioco sia a questo punto una cosa positiva. Costringere il giocatore ad un tedio superiore le 5 ore necessarie a finire il titolo sarebbe contrario anche alle convenzioni dell’ ONU per i diritti umani e di qui l’obbligo per Ready at Dawn di tenere bassa la durata del titolo. Inoltre la rigiocabilità inesistente consente di riportare subito il titolo al Game Stop più vicino per prendersi un video che sia anche e soprattutto un GIOCO. Magari tipo Bloodborne, in uscita a brevissimo.
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